Era uno dei suoi amici più cari: a Sven Eriksson, morto ieri di tumore a 76 anni, Roberto Mancini deve tanto, tantissimo. “Io ho smesso di giocare alla Lazio e ho iniziato subito a fare l’assistente di Eriksson.
Alla fine ci speri sempre. L’avevo sentito circa 20 giorni fa.
Stava con i figli, mangiando e bevendo. Di buonissimo umore.
Ci ho parlato al telefono. Un bianco marchigiano straordinario.
Non ha mai perso il buonumore. Anche questo l’ha reso l’uomo straordinario che era.
In quell’occasione ho potuto passare del tempo con lui. Eppure sapeva che stava per morire”.
Con Sven nella Samp e nella Lazio, con Vialli fino all’ultimo europeo. Eriksson è stato un maestro di vita.
Un allenatore grandissimo. Ha fatto bene in tutte le squadre che ha allenato: ha portato tattica e anche soprattutto tanta gentilezza.
Mancini parla della sua avventura con la nazionale araba: “Credo si stia facendo un buon lavoro. Fra poco, il 10 e il 15 settembre, andremo a giocare il secondo girone per la qualificazione ai mondiali.
Non sarà semplice perché ci troviamo a competere con un gruppo piuttosto forte, però ci metteremo tutta la forza, l’impegno e la determinazione per farcela. Non dimentichiamo che le stesse critiche sui giocatori le fecero anche prima che vincessimo l’europeo del 2021.
È un classico che si usa dire, non abbiamo giocatori. È chiaro a tutti che non abbiamo più i giocatori di 15 anni fa, però è ingeneroso dire che la nazionale italiana non ha dei bravi giocatori”.
Gli chiedono se ha sofferto un po’ quest’estate durante gli europei nel non vedersi più su quella panchina: “La mancata qualificazione ai mondiali con la nazionale italiana mi pesa tanto perché avremmo potuto fare una bella figura al mondiale. E non vedere la nazionale italiana, vincitrice degli europei, in quella competizione, non può non far male.”
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